L'elezioni hanno consolidato la maggioranza di destra che già aveva vinto nel 94. Culturalmente il paese è a destra. Il percorso che ci attende è lungo ed inizia prima di tutto sul piano della cultura politica. Per questo oggi rinuncio alla tentazione di ragionare di alleanze e mi concentro sulla più calda delle questioni aperte: quella dell' immigrazione affrontandola con una visione regionale.
In campagna elettorale il pulmino delle candidate si è fermato per un incontro con le operaie presso una grande fabbrica tessile nel parmense. (Ci sono ancora le fabbriche tessili, lo dico ai tanti consulenti che ne avevano preannunciato la sparizione) Lì abbiamo sentito con le nostre orecchie le ragioni del passaggio di voti da Rifondazione alla Lega. Le motivazioni erano tutte legate al tema immigrazione ma, attenzione, non nella visione sicurtaria che pensiamo. Meglio, c'era anche questa, legata alla esperienza quotidiana e femminile. Al girare per le strade di sempre e sentire su di se guardi maschili senza pudore o di aperta condanna, quasi tu fossi una poco di buono. E ci si sente straniere in casa propria. Ma era molto più forte la consapevolezza che l'immigrato è un "competitor" per il lavoro, per l'accesso ai servizi, per le risorse sempre in calo del welfare. Per il lavoro perché l'immigrato è disponibile a qualsiasi impiego, non rimane incinta ed è più che disponibile a fare lo straordinario. Per l'accesso ai servizi e al welfare perché il nostro modello, che fa dipendere i servizi dal reddito, fa si che l'immigrato abbia sempre più punti in graduatoria dell'operaia italiana con un marito e dei figli.
Sostengo che noi inconsapevolmente abbiamo costruito un welfare residuale (volto quindi solo a bisogni dei poveri) invece che universale o meglio ancora basato su un universalismo selettivo. ( dove tutti accedono ma pagano a seconda delle proprie capacità) Questo è stato fatto in molti modi, ma soprattutto attraverso un uso, a mio parere distorto, dell'ISEE (indicatore di situazione economica equivalente). Ormai questo strumento regola l'accesso ai nidi, alle materne, alle mense scolastiche, ai trasporti scolastici, all'assegno per il terzo figlio, alla casa popolare, al contributo per l'affitto, all'assistenza domiciliare, al diritto allo studio, determina il pagamento delle rette nelle strutture protette, l'accesso alle cure odontoiatriche, all'assegno di cura etc.. Ci sono in questo due errori: l'uso del Isee per decidere chi accede al servizio e non quanto paga di tariffa (sia chiaro non tutti i comuni fanno questo errore) e l'abbassamento progressivo dell'asticella ormai intorno ai diecimila euro l'anno.Ma chi sta sotto? Gli ultimi, mentre i terzultimi, cioè i ceti medio bassi dove entrambi lavorano, sono fuori. Si alimenta così il risentimento sociale (e anche le separazioni per finta!)Ma se i tre piloni del welfare: scuola, sanità e pensioni me le garantisce anche il centro destra perché deve occuparmi del destino di un welfare locale che non fa nulla per me? E quindi voto a destra dove almeno si occupano della mia incolumità e dove promettono di ridurre il numero di "competitor".
Va urgentemente ridefinita una visione complessiva e più articolata del welfare locale. Ci vogliono politiche per i poveri, lì sì, ovviamente, l'isee e il reddito determinano i beneficiari.Ci vogliono politiche per favorire l'inclusione degli immigrati, ne ha già parlato il sindaco di Imola, a partire dalla scuola. Ci vogliono politiche per le famiglie e per sostenere il lavoro delle donne, politiche per le quali i criteri di accesso sono altri perché diversi sono gli obiettivi. I nidi sono stati inventati quasi cento anni fa dalle donne per permettere alle donne di andare a lavorare. Hanno una ovvia componente educativa, ma non sono una politica assistenziale di sostegno ai poveri. E finchè non si riesce a rispondere a tutti il primo criterio di selezione deve essere la condizione lavorativa.Una qualche riflessione meriterebbe il tema della casa.In generale direi che l'intervento dovrebbe essere più cospicuo nei confronti di coloro che investono per rimanere a lungo nel nostro paese e legato ad una accettazione dei nostri principi costituzionali. Diritti e doveri, su questo si basa la costruzione di una società e le tenuta di qualsiasi comunità.Per questo però trovo più corretto per noi a sinistra parlare di legalità piuttosto che di sicurezza (come per altro aveva fatto Cofferati) diritti e doveri di chi è qui e di chi arriva. E in un paese lassista con un sistema giudiziario in gravissima crisi (e di chi è la responsabilità del disfacimento della giustizia?) questa non è una questione da poco.
Nel nostro dna di emiliani romagnoli c'è la coesione sociale, la capacità di vivere bene insieme e di includere, facendole diventare emiliane, le successive ondate immigratorie. È una caratteristica nota e studiata da tempo. Non dobbiamo perdere noi stessi. Non possiamo stare con chi condanna una intera etnia o una intera religione. Anche se penso ad un maggior lavoro di inclusione che insista sull'accoglimento dei nostri valori di libertà. Perché in quei valori fortemente crediamo. Penso ad un lavoro di governo dell'immigrazione che concentri il suo impegno sulle seconde generazioni, sui ragazzi e le ragazze che una legge assurda vuole rimandare indietro (in paesi dove magari non hanno più neanche i nonni) al compimento dei diciotto anni. Penso alla politica per le donne immigrate, perché siano garantite a loro i diritti fondamentali e la possibilità di decidere di sè e della propria vita. E guardo con orrore l'avvento di un pericolo dello stupro a componente etnica. (vedi i giornali di questi giorni) Non ci aiuterà il politicamente corretto o il rispetto-indifferenza verso le abitudini di ciascuno quando non attengono al cibo, ma ai diritti della persona. Ci aiuterà la forza delle nostre idee. Penso che abbiamo bisogno di un insieme di politiche di governo (c'è un limite anche all'accoglienza) di legalità (diritti e doveri) e di inclusione per costruire un partito nuovo ma che abbia ancora l' anima.
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